MARIA GRAZIA GAROFOLI – Coreografa Ballerina | Dalla Preistoria al Medioevo
Coreografie, Recensioni, Interviste, Bibliografia, Raccolta Fotografica dell'Artista Maria Grazia Garofoli.
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Dalla Preistoria al Medioevo

DALLA PREISTORIA AL MEDIOEVO



Maria Grazia quanti anni fa l’uomo comincia a danzare?

Non è facile fissare delle date, ma proviamoci: in Africa circa sei milioni di anni fa (per la cronaca i dinosauri scompaiono 65 milioni di anni fa dopo avere dominato il mondo per 150 milioni di anni) alcuni primati-scimmie cominciano a camminare eretti. Inizia quell’evoluzione che porterà all’uomo. Dall’Africa questi nuovi esseri migrano nel resto del mondo e circa 40.000 anni fa (assunte ormai caratteristiche anatomiche moderne) li ritroviamo con le prime forme di organizzazione sociale – oltre che in Africa – in Asia ed Europa e di lì a poco nelle Americhe e nell’Australia. In questa evoluzione il linguaggio comincia ad assumere una discreta rilevanza circa 60.000 anni fa mentre la scrittura nasce solo 5.000 anni fa con i caratteri cuneiformi dei Sumeri. Di lì a poco, all’incirca 4.000 anni fa (dopo la fase preistorica con danze documentate da graffiti di oltre 10.000 anni fa)…

Danze di oltre 10.000 anni fa! Che danze erano?

La questione non è sul tipo di danza: La questione è “perché danzavano?”. Tre le teorie. Per il sociologo Karl Bücker erano movimenti nati per dare un ritmo al lavoro collettivo, soprattutto in campo agricolo. Per Jousse si trattava invece di movimenti mimici antecedenti all’uso del linguaggio e rimasti poi nel patrimonio genetico e nel comportamento dell’uomo. Per Kurt Sachs (ed è questa la teoria più affascinante per noi addetti ai lavori) rappresentavano un ulteriore elemento di evoluzione, sorta di ancestrale preludio alla vera e propria arte della danza.

Cosa accade dunque 4.000 anni fa?

Accade che dopo una fase indistinta comune a tutte le civiltà che si andavano formando, si differenziano quattro tipi di danze definite dagli antropologi “danze madri”: l’egiziana, l’indiana, la cinese e la greca.

Perché manca una danza madre mesopotamica espressione delle grandissime civiltà degli Assiri, dei Babilonesi e dei Sumeri?

Osservazione giustissima, bravo Paperino. Ma è poco o nulla documentata: una delle rare figurazioni proviene dagli scavi di Ninive e mostra dei movimenti collettivi durante una processione. La stessa cosa possiamo dirla per la danza ebraica di cui restano soltanto tracce scritte, letterarie.

Ci parli della danza nell’Egitto dei faraoni?

Nella vita sociale egiziana la danza era molto importante. Il popolo apprezzava e onorava i buoni danzatori (c’erano veri e propri corpi di ballo con ballerine e ballerini professionisti all’interno dei templi) e praticava la danza di gruppo specialmente nelle campagne durante i riti di fertilità. I nobili non prendevano parte a questi riti ma i giovani delle classi sociali alte prendevano lezioni di musica e danza per poi partecipare alle cerimonie religiose. Le danze più documentate sono quelle funebri, quelle agresti del raccolto (solo maschili) a cui partecipava lo stesso faraone e quelle erotiche dove i movimenti a spirale eseguiti da donne appena coperte da veli trasparenti fanno pensare alla danza del ventre. Elementi caratteristici della danza egiziana erano il passo ampio, il port de bras angoloso e romboidale, le figure acrobatiche tra cui il ponte e la ruota, i salti molto elevati, le piroette, i grands battements e la corsa sulle mezze punte. Oltre alle danze corali sono documentati pas de deux (uomo-donna ma soprattutto tra due dello stesso sesso) e assoli. Per danzare uomini e donne indossavano un corto gonnellino ma ci sono raffigurazioni di donne che danzavano nude o con tuniche a maniche larghe. Il reperto artisticamente più elevato dal punto di vista della coreografia è una pittura (ora a Londra) di una tomba tebana scoperta a Sheck abd el Qurna che ci mostra un pas de deux di due giovani danzatrici.

E quella indiana? Era molto diversa da quella egiziana?

Direi di sì. Era più astratta e più legata alla religione. Già la creazione del mondo, secondo il Veda, il più antico poema indiano (frutto della rivelazione divina di Brahma, scritto in sanscrito tra il 1.500 e l’800 a.C.), vede tutti gli dei danzare nel mare originario tenendosi per mano. Questo non vuol dire che le danze “vediche” delle fanciulle sacre che cantavano e ballavano nei templi in quel periodo (da loro sono discese le devadasi, le “serve di dio” esistite fino al secolo scorso) fossero all’acqua di rose: avevano infatti movenze anche molto erotiche, da rituali orgiastici. Pure gli uomini ballavano, ma le danze “vediche” erano in primo luogo femminili. La danza indiana era eseguita soprattutto con la parte superiore del corpo, con movimenti di spalle, collo, testa, occhi, braccia e – detti mudra – delle mani. Contrariamente a quella egiziana, gambe e salti quasi non esistevano. Due millenni dopo, in epoca medievale, nascono nei templi e nelle corti veri e propri corpi di ballo, sia maschili che femminili, con funzioni religiose, ma anche d’intrattenimento in occasione di feste e di visite di importanti ospiti stranieri. Fortunatamente molti elementi di queste antiche danze indiane sono sopravvissuti…

Anche delle altre danze madri?

No, di quella cinese ad esempio è sopravvissuto poco o nulla. Li-Koang-ti, dotto ministro del XVII secolo, individuò sette danze arcaiche risalenti alla preistoria, caratterizzate, come quelle egiziane, da passi e salti ed eseguite sia da uomini che da donne. Tra la tecnica maschile e quella femminile la distinzione era comunque netta. Due curiosità che riguardano tempi più vicini a noi. La prima è sulla danza U-Wang di cui Confucio (551 ca – 479 a.C.) parla nei suoi Dialoghi: alla danza, che celebrava una vittoria militare e veniva eseguita da ballerini professionisti, prendevano parte anche i figli dell’imperatore e alti dignitari di corte. L’altra riguarda una similitudine ancora da studiare: le ballerine in terracotta dell’epoca T’ang (IV secolo d.C.) rinvenute nel corso di uno scavo hanno molti elementi in comune con le statuette in terracotta (alcune di ballerine) del V secolo a.C. rinvenute a Tanagra, vicino a Tebe, e dunque riferibili alla quarta danza madre, quella greca. Un caso o il frutto di rapporti e di interscambi artistici avvenuti in campo figurativo o addirittura coreografico?

E la danza greca com’era?

Era… un’autentica danza filosofica, una delle basi dell’educazione dei giovani, ma era più che lodevole danzare anche da adulti. Pensa Paperino che Socrate prese lezioni di danza in età matura dalla bella Aspasia e lui stesso – racconta Senofonte nel Convito – ne dette una memorabile in casa del ricco Callias per mettere a tacere quanti ridevano di questa sua passione. Platone, nelle Leggi, considera la danza (insieme alla musica e alla poesia con cui è tutt’uno) il trait d’union tra dei e mortali. La danza greca era di gruppo. Assoli e passi a due erano piuttosto rari e i partecipanti non erano mai ammassati: stavano sempre a una certa distanza uno dall’altro ed eseguivano passi diversi, mai uguali e in sincronia. Tante le fonti scritte sulla danza: ne parlano Platone, Erodoto, Senofonte, Plutarco, Ateneo, Luciano, Libanio e Polluce. E tantissimi i vasi con scene di danza, scene che Isadora Duncan studiò e riprodusse in alcuni suoi balletti.

A grandi linee possiamo distinguere le danze greche in religiose, guerriere, ginnico-educative e “sociali”, queste ultime eseguite da gente comune in occasione di matrimoni, nascite ed eventi legati all’agricoltura come la vendemmia e i raccolti. In circostanze conviviali venivano eseguite anche danze con caratteristiche acrobatiche, in questo caso eseguite da professionisti come le ballerine della “danza del torchio” documentata da Longo Sofista

– Ma nelle rappresentazioni di teatro che nella Grecia antica erano molto importanti, mi vengono in mente le opere teatrali di Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane, c’era la danza?

C’era sì. Addirittura con scene danzate da considerarsi veri e propri balletti. Soprattutto in Aristofane, di cui restano documentate la pàrados delle rane che, nella commedia Le rane (405 a.C.), accompagnano con un assordante coretto Dioniso che attraversa il fiume sulla barca di Caronte per raggiungere gli inferi e la danza grottesca delle vespe (simbolo degli umani che affollano i tribunali) che chiude la commedia Le vespe del 422 a.C.

Ricordo scene di danza anche su vasi etruschi e soprattutto sulle pareti delle tombe di Tarquinia. C’è dunque anche una danza etrusca contemporanea a quella greca?

E come! Anche se ragionando in termini di genealogia della danza, è considerata, insieme a quella romana, una danza “derivata” da quella greca a cui rassomigliava molto. Si può dire che la danza etrusca era, rispetto alla greca, meno filosofica e più godereccia. Proprio le tombe di Tarquinia ci documentano questo approccio per esorcizzare gli orrori infernali e tenerli lontani. L’affresco più importante è nella tomba delle Leonesse: mentre una danzatrice (con scarpette appuntite, tutulus in testa, tunica semitrasparente e mantello) esegue un elegante e contenuto dégagé di destro, una coppia lui-lei si abbandona a una danza orgiastica molto erotica. Lei, disinvolta, appena coperta di un velo trasparente, lo provoca facendogli le corna e andandogli incontro per cingerlo con la coscia sinistra. Lui completamente nudo, con in mano un vaso per il vino, va verso di lei per cingerla con la coscia destra. Molto greche (con qualche stilema egiziano) altre figure danzanti: la donna della tomba dei Giocolieri e l’uomo della tomba del Triclinio.

E la danza romana?

A Roma erano soltanto i patrizi a eseguire le danze ereditate dalla tradizione etrusca e greca. La plebe continuava invece a danzare alla vecchia maniera rurale. Al di là di questa distinzione, l’elemento che più caratterizzò la danza romana fu la pantomima. Tra le testimonianze che ci sono giunte l’invettiva di Orazio contro le ragazze bene che apprendevano certe danze ioniche alla moda considerate lascive e la presenza di danzatrici siriane professioniste che nel corso di spettacoli conviviali eseguivano movimenti molto osé. In generale comunque la danza a Roma non fu molto in auge. E se, per la cronaca, Socrate prese lezioni di danza, a Roma Cicerone manifestò tutta la sua ostilità verso questa arte affermando che “nessuno danzerebbe da sobrio, se non per improvvisa pazzia”. Contrastano fortunatamente con questo disamore per la danza certi affreschi pompeiani di sublime e aerea bellezza che ritraggono fanciulle protagoniste di danze dal sapore molto apollineo e platonico com’era nella tradizione ellenica e l’entusiasmo di Marziale e Giovenale incantati, nella Roma imperiale, da ballerine che eseguivano sensuali danze d’amore e di corteggiamento accompagnandosi con le nacchere.

– E dimmi Maria Grazia. Sarà per i film storici che ho visto, ma nella mia mente dai balli per una festa ai tempi dell’antica Roma si passa direttamente a quelli medievali delle feste nei castelli o nelle case dei nobili… Forse le cose non stanno proprio così, vero?

No, e ora cerco di spiegartelo. Torniamo alle danze madri. Se nei primi secoli d.C. la danza indiana e quella cinese continuano a esistere e a evolversi, la danza egiziana e quella greca decadono con il decadere di queste due civiltà. Attenzione però: non muoiono le danze popolari della gente comune in occasione – che so? – della vendemmia, del raccolto del grano o di un matrimonio. In questo senso il sirtaki, per fare un esempio relativo alla Grecia, è l’espressione ben precisa, nei secoli, di quel popolo. A morire sono tutte quelle danze “ufficiali” (quasi sempre interpretate da professionisti) che erano legate a grandi avvenimenti come i giochi olimpici che iniziano nel 776 a.C., le rappresentazioni teatrali, le cerimonie religiose, i rituali di guerra. È evidente che quando una civiltà muore, tutto questo apparato, che necessita anche di notevoli disponibilità economiche, viene meno e dunque muoiono le danze a esso connesse. Per tornare al passaggio brusco che tu avverti tra l’antica Roma e i balli cortesi del Medioevo, cerchiamo di vedere come andarono le cose. Parallelo allo sgretolamento dell’Impero romano c’è il diffondersi del cristianesimo. In questa situazione, se da una parte alcuni popoli come i celti (gli attuali francesi, inglesi e irlandesi), gli islandesi, gli scandinavi e i goti (gli attuali tedeschi) si riappropriano delle loro antiche tradizioni e mescolano danze dedicate agli dei con rituali orgiastici, dall’altra le prime comunità cristiane non disdegnano la danza. Nasce anzi una danza cristiana avallata da personaggi molto in alto come San Basilio che la esalta come l’occupazione prediletta dagli angeli e come Gregorio Magno che consiglia il vescovo inglese Meletius di permettere ai catecumeni di danzare dentro e intorno alla chiesa.

– Al contrario si sente spesso dire che il cristianesimo affossò la danza…

Sì, fece anche questo, arrivando verso l’anno 850 col papa Leone IV a scomunicare chi la praticava. Ma la scomunica riguardava coloro che praticavano “i canti diabolici sulle tombe dei morti” (da qui gli affreschi delle cosiddette danze macabre) e soprattutto “i giochi e le danze ispirate dal demonio” durante quelle “feste dei pazzi” che in un primo tempo avevano invece avuto il consenso della chiesa. Alle “feste dei pazzi”, a cui erano ammessi gli animali per rituali dissacratori (permessi una sola volta all’anno) come quello di somministrargli i sacramenti, partecipava anche il clero. In questa situazione di apparente dualismo, il “pagano” da una parte e il “cristiano” dall’altra, in realtà due ambiti caratterizzati da frequenti interscambi, avviene ad esempio, ce lo documenta Giraldus Cambrensis intorno al 1100, che la festa religiosa in onore di santa Aelivdha abbia il suo epilogo nelle danze convulsive.

– Ancora oggi a Siviglia, mi hanno raccontato, nel giorno del Corpus Domini vengono eseguite delle danze in chiesa. Fanno parte di un rituale antico?

E come! Nel Medioevo, soprattutto in Spagna, quasi tutte le cerimonie religiose erano accompagnate da danze. Un bel giorno però, era il 1439, l’arcivescovo di Siviglia proibì il tradizionale balletto dei ragazzi del coro della cattedrale in occasione del Corpus Domini. Incavolati neri i ragazzi del coro noleggiarono una nave, si recarono a Roma con il loro maestro e chiesero udienza al papa Eugenio IV supplicandolo di assistere alle loro danze. Così fu e dopo averli visti, il papa ordinò con una bolla che le danze fossero assolutamente conservate.

– Ho capito. Non colgo però come si arriva al ballo medievale in una casa nobile e ricca al suono dei liuti…

Ci arriviamo. In questa situazione confusa e in continua e rapida evoluzione, che è l’epoca dei trovatori, dei cavalieri, delle crociate, della nascita dei comuni e del rifiorire delle attività produttive e commerciali, a un certo punto fanno scuola e si diffondono in Europa (semplicemente perché piacciono alla gente e, si potrebbe dire, “fanno moda”) le danze di corteggiamento spagnole precorritrici della moresca e la danza trovadorica di origine italiana e francese con la sua speciale commistione di musica, danza e poesia. Senti, a proposito, questi versi del Roman de la rose, poema narrativo-allegorico di oltre ventimila versi scritto all’inizio del XIII secolo. Sono versi tratti dalla prima parte che è a firma di Guillaume de Lorris.

Lor vedrete in carola volare
e la gente con grazia ballare,
e fare sempre una bella tresca
e tanti giri sull’erba fresca.

Volevo farti notare, Paperino, quel “con grazia ballare” e quell'”erba fresca” che mi pare coincida con la tua visione. Attenzione però. Mentre c’era chi ballava con eleganza al suono dei liuti, c’era anche chi contemporaneamente e altrove, danzava in gruppi numerosi per festeggiare avvenimenti legati all’agricoltura e a cerimonie religiose oppure viveva i deliri collettivi del sabba o praticava altri rituali a tinte piuttosto forti. Ma a prevalere, perché più alla moda e anche perché legata all’amore che, ormonale o spirituale che sia, è la priorità dell’essere umano, è la danza medievale che tu abbini al suono del liuto e che possiamo chiamare “danza cortese”.

– Che dunque ha origine soprattutto in Spagna, Francia e Italia?

Sì, in particolare in Italia, dove nelle feste di maggio erano in auge le ballate, e in Provenza. Poi, verso il 1400, con l’avvento delle signorie in Italia e con la nascita dei regni in Europa, la danza entra alla grande nella vita mondana e nell’educazione e nelle cerimonie di corte. Un esempio: nel 1462 in Provenza re Renato I d’Angiò organizza una processione per festeggiare il Corpus Domini. In realtà si tratta di un “balletto ambulatorio” che mescola sacro e profano con scene allegoriche e figurazioni mimate e danzate: ne sono protagonisti fauni su cavalli alati, ninfe, tritoni danzanti, c’è il carro dell’Olimpo con sopra Giove, Venere, Giunone, Amore e le Parche, ci sono gli ebrei che danzano intorno al vitello d’oro e inoltre la regina di Saba e i re Magi. Ma non è finita: la seconda parte del corteo propone Cristo che porta la croce, gli apostoli, altri personaggi danzanti e, in chiusura, la Morte con un’immensa falce. In tutta Europa le feste di re e principi si animano dunque di danze, nasce la figura del maestro che insegna e stabilisce passi, gesti e movimenti, insomma nasce il coreografo, e con lui nasce la trattatistica. E i maestri più famosi (autori anche di manuali la cui terminologia, elaborata dai francesi, diventerà il vocabolario della danza accademica ottocentesca) furono soprattutto italiani: tra questi, Guglielmo Ebreo, Domenico da Piacenza, Antonio Cornazano e Lorenzo Lavagnolo che con eccellenti risultati insegnò danza a Isabella d’Este. Per la cronaca anche Ippolita Sforza, Eleonora Gonzaga, Cristina di Lorena e Bianca Maria Visconti rivelarono in più occasioni notevoli doti nel danzare.

– E i libri di questi maestri ebbero successo?

Questo dei libri è un punto fondamentale. La stampa nasce in Germania, a Magonza grazie a Gutenberg, nel 1450. Dodici anni dopo, nel 1462, nel corso di una delle tante guerre di quel periodo, Magonza viene messa a ferro e fuoco e i numerosi tipografi che vi avevano aperto bottega fuggono via con i loro strumenti di lavoro. Trovano rifugio soprattutto in altre città della Germania, in Italia, in Francia, in Spagna e a Londra dando così vita allo sviluppo della stampa in Europa. Fai attenzione Paperino. La prima stamperia italiana nasce nel 1465 in un monastero di Subiaco nei pressi di Roma. E guarda caso è proprio del 1465 il Libro dell’arte del danzare di Antonio Cornazano. In pochi anni l’Italia (che allora era divisa in vari stati) diventa leader nell’arte della stampa: Venezia e Roma, insieme a Colonia, saranno per anni le capitali europee del libro. Ma anche Firenze, Bologna, Milano, Foligno e Napoli si batteranno bene. Capisci dunque perché la danza italiana, sul finire del 1400, fa scuola a tutta l’Europa? Non solo perché ha dei bravi maestri. Ha anche la possibilità di far girare, e dunque di far conoscere, le loro teorie, il loro sapere. E su questa fase felicemente espansiva della danza italiana ci fermiamo. Con il 1492, anno della scoperta dell’America, termina il nostro breve excursus dalla preistoria al Medioevo.

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