MARIA GRAZIA GAROFOLI – Coreografa Ballerina | La bella addormentata: una raffinata fiaba romantica
Coreografie, Recensioni, Interviste, Bibliografia, Raccolta Fotografica dell'Artista Maria Grazia Garofoli.
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La bella addormentata: una raffinata fiaba romantica

30 Apr 2006, Pubblicato da admin in RECENSIONI

arena

Fondazione Arena . Calorosi e più che meritati applausi per il balletto coreografato con abilità da Maria Grazia Garofoli: un’edizione piacevole, mai noiosa, ricca di sofisticate geometrie

Una raffinata fiaba romantica 
“La bella addormentata”: Vogel è il vero, eccellente protagonista

Tanti calorosi e più che meritati applausi al Teatro Filarmonico per il ritorno della Bella addormentata di Ciaikovskij, balletto coreografato da Maria Grazia Garofoli per la Fondazione Arena, fino al 3 maggio. Un trionfo per i due interpreti principali ospiti, Eleonora Abbagnato e Friedemann Vogel ma anche per tutti gli altri protagonisti. Un’edizione piacevole e raffinata, che sarà bello rivedere negli anni, come repertorio di compagnia.
L’allestimento veronese è romantico e corale come deve essere questo balletto, con grande spazio anche per il corpo di ballo, ben valorizzato nei fastosi “ballabili”, valzer, polacca, mazurka. Le scene (di Giuseppe De Filippi Venezia) sono letteralmente fiabesche e i costumi seguono l’andamento temporale della storia, passando dal Settecento della prima parte ad un tardo Ottocento dopo il risveglio.
Aurora è rimasta quella della fiaba di Perrault, la principessa vittima di un irrimediabile incidente diplomatico e salvata dalla fata buona, che trasforma un destino di morte in un destino di attesa. Attesa di un pigmalione, secondo la lettura della Garofoli, o di un marito, secondo la tradizione, in ogni caso dentro un sonno preadolescenziale dal quale la principessa si risveglia donna.
Una fiaba romantica, dicevamo, con vicende tremende e immancabile lieto fine, che nel diventare balletto alla fine dell’800 segnò l’apoteosi della cosiddetta “danse d’école” carica di virtuosismi dei solisti e di sontuose scene d’insieme, ma anche di parate e pantomima di ascendenza sei-settecentesca. Una summa di tre secoli di danza, quasi una autocelebrazione. La musica di Ciaikovskij non fu da meno, e ad oggi è tra le più belle scritte per la danza, peccato per la scelta del nastro registrato.
Una delle caratteristiche di questa edizione areniana, ne diamo merito alla coreografa, è di non essere affatto noiosa neppure in certe lunghe scene d’assieme, che anzi offrono raffinate geometrie, intrecci e “passi a sei” da far concorrenza al Lago dei cigni. Ci sono infatti nella partitura momenti di passaggio, come l’arrivo del principe al castello di Aurora, che si dilungano musicalmente e narrativament e e che in alcuni allestimenti vengono tolti o ridotti al minimo per evitare appesantimenti: qui, senza tagli, la vicenda scorre via con leggerezza, travolgendo con la danza.
Incastonate nella coreografia armoniosamente “petipiana” della Garofoli, le “variazioni” (gli assoli virtuosistici) e i “passi a due” tratti dal repertorio di Petipa, come la Fata dei Lillà del primo atto, l’Adagio della rosa di Aurora e i pretendenti, il gran pas de deux delle Nozze, pezzi di bravura ormai intoccabili, dei “classici” come le romanze del melodramma. La Garofoli ha sostituito i personaggi delle fiabe che intervengono al matrimonio di Aurora, con quelli degli altri balletti ciaikovskiani (passi a due di Schiaccianoci e del Cigno nero ) anche stavolta mantenendo la coreografia di repertorio. E se non fosse già così un balletto molto tecnico, la coreografa aggiunge per i protagonisti due lunghi e complessi passi a due nella seconda parte.
Non resta che parlare degli interpreti. Il vero protagonista è stato Friedemann Vogel (il principe), primo ballerino a Stoccarda, dal fisico scolpito e dalla tecnica straordinaria: ha una leggerezza non comune, tanto che quando torna a terra dopo un salto, neppure lo si sente. Eleonora Abbagnato è una Aurora vezzosa ma decisa. I suoi punti di forza sono una formidabil e tecnica di gambe e le punte perfette, caratteristica tipica delle danzatrici dell’Opéra di Parigi, a volte un po’ a scapito della morbidezza delle spalle.
Allo stesso livello la Fata dei Lillà di Amaya Ugarteche, stoffa da vera étoile, che dà spessore ed eleganza a questo personaggio decisivo, presente lungo tutta la storia. Doppio ruolo per Giovanni Patti, nel primo atto Carabosse, mago anziché fata come nella prima versione, e poi alle prese con i virtuosismi dell’Uccello azzurro, peraltro benissimo sostenuti. Non possiamo non citare anche altri protagonisti, la coppia del Cigno Nero Ghislaine Valeriani e Antonio Russo e dello Schiaccianoci Simona Mangani e Gianfranco Scellato (ottimo porteur) e i due contadini Pietro Occhio e Marco Fagioli.

Daniela Bruna Adami

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